Hermann Buhl, l’uomo che per primo è salito sul Nanga Parbat6 min read

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In tutte le arti e le professioni esistono uomini o donne che si distinguono per delle imprese fuori dal comune o addirittura eroiche e nell’alpinismo in questo ristrettissimo gruppo di persone non può non essere presente Hermann Buhl, che può essere considerato a ragione il più rappresentativo dei precursori dell’alpinismo estremo e dell’arrampicata libera ed è entrato di diritto nella leggenda di questo sport.

hermann buhl

Hermann Buhl è stato uno dei più grandi alpinisti di tutti i tempi, una figura leggendaria che ha scritto pagine straordinarie della storia dell’alpinismo. Spinto da un talento naturale e una fortissima determinazione ha compiuto imprese incredibili come l’ascesa al Nanga Parbat, l’ottomila più ambito da austriaci e tedeschi.

La prima parte della vita di Hermann Buhl

Nasce alla fine di settembre del 1924 in Austria nella cittadina di Innsbruck in pieno regime nazista come ultimo di quattro fratelli; alla morte della madre passa alcuni anni in orfanotrofio e, contemporaneamente, comincia a far parte della grande famiglia parrocchiale e dei gruppi scout grazie ai quali ha i suoi primi contatti con la natura e la montagna, innamorandosene perdutamente.

Alla loro chiusura, per seguire la passione che lo stava piano piano permeando, nonostante il suo fisico non proprio possente riesce ad entrare nel club alpino austriaco (Deutscher Alpenverein) dove manifesta le sue peculiarità nell’arrampicata libera anche su gradi estremi che sfrutta anche per gli impegni con il soccorso alpino austriaco di cui fa parte in pianta stabile. Fino allo scoppio della seconda guerra mondiale si dedica allo stesso tempo allo studio, ai suoi primi lavoretti e alla sua amata montagna; si arruola, ovviamente, nel corpo degli alpini e per la Wermacht combatte in Italia lungo tutto l’appennino fino a Montecassino dove viene fatto prigioniero dagli alleati.

Tornato a casa, viste le difficoltà del periodo, ritorna a vivere quelli stenti della prima infanzia e riesce a sopravvivere facendo molti tipi di lavori ma la sua passione per la montagna non scema affatto; si iscrive infatti, superandolo brillantemente, al corso da guida alpina. Da questo momento la sua vita e le sue imprese diventano una vera e propria leggenda per tutti gli amanti dell’alpinismo.

Hermann Buhl morì nel 1957, all’età di appena 33 anni, dopo aver tentato di scalare il suo secondo ottomila, con una spedizione sull’Himalaya alla conquista del Chogolisa. L’alpinista austriaco lasciò la moglie e tre figlie senza un marito e senza un padre.

Chi era Herman Buhl

Hermann Buhl era prima di tutto un uomo, straordinario, che si metteva continuamente alla prova ideando imprese che agli altri erano ritenute impossibili, come quella volta che vinse per scommessa 200 franchi svizzeri nel 1950 sulla salita del Pizzo Bernina a 4050 metri: dal rifugio Boval fece l’ascensione con conseguente ritorno al punto base solamente in 6 ore, con il record di discesa dei 500 metri del Biancograt del quale superò la cresta innevata in soli quindici minuti.

Ha amato perdutamente la montagna ma con un legame particolare che in qualche occasione poteva quasi sfociare nel mistico, un rapporto unico e solitario che viveva nell’ambito dell’avventura e del rispetto con la natura; nonostante la sua fama e l’eco internazionale delle sue imprese, Hermann Buhl si tenne infatti sempre lontano da tutti quegli aspetti che potessero essere volti a collegare il suo modo di vedere l’alpinismo ad ogni tipo di interesse economico o commerciale.

Una delle sue caratteristiche principali, oltre una grande coerenza con gli altri e con se stesso (non divenne mai un vero professionista dell’alpinismo), era la tenacia che, insieme alla sua fede e alla sua grande determinazione, gli hanno consentito di essere ritenuto come uno dei personaggi più importanti e significativi di tutta la storia mondiale dell’alpinismo. L’arrampicata e l’alpinismo erano infatti per Hermann Buhl un vero e proprio modo di percepire la vita, un essere tutt’uno con la natura che gli consentiva di aumentare la sua grande carica umana. Inventò un vero e proprio stile di arrampicata, ‘’delle alpi occidentali’’ che viene ancora oggi praticato con il nome di ‘’stile alpino’’.

L’alpinismo è un’attività sfiancante. Uno sale, sale, sale sempre più in alto, e non raggiunge mai la destinazione. Forse è questo l’aspetto più affascinante. Si è costantemente alla ricerca di qualcosa che non sarà mai raggiunto (cit. Hermann Buhl).

Herman Buhl: la conquista del Nanga Parbat

Le montagne erano per Hermann Buhl un vero e proprio stimolo che si ripercuoteva anche nella vita di tutti i giorni, un rapporto così stretto che può essere realmente incomprensibile alle altre persone; era un uomo dal fisico mingherlino ma che era in grado di effettuare delle gesta straordinarie.

Quando nel 1953 riesce ad effettuare l’impresa conquistare in Pakistan il Nanga Parbat, la nona montagna più alta al mondo con i suoi 8125 metri s.l.m., e la più ambita da austriaci e tedeschi. Questa montagna è considerata la “montagna assassina” per via delle sue difficoltà tecniche. L’impresa la compì da solo, a partire dall’ultimo campo base, senza alcun tipo di aiuto tecnico, non solo senza i portatori ma anche senza bombole d’ossigeno in quasi due giorni e con solo la normale attrezzatura per i bivacco.

Ad una lettura ascetica in quella sede il rispetto che lui aveva per la montagna in qualche modo, forse, gli salvò la vita in quanto la ‘’montagna nuda’’ gli consentì di tornare al campo, nonostante fosse stato sorpreso dall’oscurità e, senza la possibilità di individuare uno spazio maggiormente idoneo per passare la notte all’addiaccio, trascorse a 8000 metri l’intera nottata in piedi semplicemente appoggiato alla parete. Questa impresa non gli lesinò critiche, anche feroci, da parte di alcuni esponenti dell’alpinismo dell’epoca, soprattutto perché per la maggior parte delle persone, anche per i suoi amici e conoscenti, era semplicemente incomprensibile.

Herman Buhl, con la sua fede incrollabile, rispose che aveva conquistato il Narga Parbat con le sue sole forze ma soprattutto con mezzi leali, senza l’aiuto di alcun tipo di tecniche moderne pensando a Albert Frederick Mummery, uno dei pionieri dell’alpinismo degli ottomila.

A proposito della conquista della cima del Nanga Parbat Reinhold Messner ha detto di lui: “Al tirolese Hermann Buhl riuscì il quasi impossibile”. “Circa 1400 metri di dislivello senza ossigeno, dalle due di notte fino alle sette di sera, tratti di difficile arrampicata su roccia, circa quaranta ore nella zona della morte: è stata un’impresa senza paragoni”.

Le altre imprese di Herman Buhl

Tutte le maggiori imprese di Hermann Buhl sono state effettuate in solitaria, a partire dal 1947 quando percorse la via Fiechtl-Herzog sul Schusselkarspitze. Oltre alle già descritte salite del Piz Bernina e della parete Nord-est del Pizzo Badile lungo la via Cassin, Herman Buhl fece la 1° solitaria per la parete Sud-Est della via Fox-Stenico alla Cima d’Ambiez, o il Dietro Sud del Schusselkarspitze.

Dopo l’impresa del Narga Parbat riesce ad ascendere il Lalidererspitze per la via Auckenthaler e, per la via Contamine, l’Aiguille du Moine oltre a stabilire un altro record con la salita, fatta lungo la via classica, del Canalone Nord-Est del Mont Blanc du Tacul in solo un’ora e 20 minuti. Nel 1957 affrontò il Broad Peak diventando il primo uomo a conquistare due ottomila, e nella successiva impresa sull’altissimo Chogolisa nel Karakorùm, insieme all’amico di sempre Kurt Diemberger, morì nella discesa a soli 33 anni per il cedimento di una cornice nevosa.

Libri su Hermann Buhl

  • È buio sul ghiacciaio, Corbaccio, 2007
  • Mio padre è Hermann Buhl, di Kriemhild Buhl, Cda & Vivalda, 2009
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